lunedì 14 novembre 2016

Accadde a Gela - Io speriamo che me la cavo

Pietro ha iniziato a frequentare la scuola nel 2011. In preparazione del grande passo ne abbiamo fatte di ogni, compreso di girare e guardare compulsivamente tutte le primarie della provincia, per poi scegliere una scuola privata.
Sì, perché – purtroppo - le scuole private hanno la possibilità di seguire maggiormente le esigenze delle famiglie, per una questione di un pizzico più di autonomia decisionale e per un minor legame alla parte malata dell’impiego pubblico.
Intendiamoci: né le scuole private sono la panacea dei mali dell’istruzione, né gli insegnanti pubblici sono tutti brutti e cattivi. Quando però hai una priorità che, nella scala dei valori, supera di diversi ordini di grandezza tutte le altre, devi essere cinico e guardare là dove hai maggiori probabilità che le tue esigenze ricevano una risposta.
Le nostre esigenze, all’epoca, erano che l’insegnante di sostegno di Pietro fosse ancora una volta indicata da noi; che Pietro vivesse all’interno di una comunità solidale dove non potesse incontrare il bullismo, di cui lui potenzialmente è una vittima predeterminata; che l’ambiente nel quale andava a insediarsi fosse, limitatamente alle caratteristiche sociali, il più protetto possibile. Questo era l’identikit della scuola più idonea ad accogliere Pietro.
È ovvio: stiamo sempre parlando di spendere dei soldi per cose che dovrebbero essere garantite di diritto ai bambini ed alle famiglie. Ma quando sei da solo ad affrontare un tema e sai che non puoi contare se non su te stesso e su un manipolo di eroi, devi scendere a patti col diavolo. Niente di male. Questa volta, è la vita, bellezza, e tu non puoi farci niente, niente.
Certo, arrivare all’ultimo anno di elementari che tuo figlio nel suo primo giorno di scuola ripete con te il suo nuovo mantra: “L’autismo è la mia forza ed io sono uno Jedi: non cederò al suo lato oscuro!” è un risultato che le menti più aperte e curiose non avrebbero potuto immaginare all’inizio di questo cammino, sette anni fa. O sentirlo invece tornare a casa e dirti “Mamma, oggi ho ceduto al lato oscuro”, perché non è riuscito a prestare attenzione durante la lezione di matematica.
Ma la fucilata nel cuore, quella che non ti aspetti, è quando lui una sera a cena, nel silenzio della tavola, senza guardarti negli occhi ti chiede: “Ma tu Mamma avresti preferito un figlio normale? Sì, insomma, un figlio NON-AUTISTICO?”. E lì non sai, veramente non lo sai, se hai fatto bene o dannatamente male a raccontargli tutto, proprio adesso, proprio così. E lo vorresti abbracciare e no, dirgli che non hai mai voluto niente di diverso e sai che anche se non è vero, perché ci sono stati momenti in cui l’avresti voluto, oggi non lo vuoi più e poi quelle volte là erano solo debolezza, un momento di cedimento. E, mentre tuo marito ti fulmina e ti vorrebbe uccidere, tu sorridi, fingi di nulla e gli dici “Io e Papà volevamo esattamente te”. E adesso sai che è vero. E il diaframma, piano, torna a muoversi.

2 commenti:

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  2. Questo è l'ultimo capitolo di Accadde a Gela.
    Quello che verrà dopo, avrà ancora il tag #autismo, ma non farà più parte di quel racconto.
    Oggi Pietro ha una sua vita: attiva, indipendente, dinamica, sociale. Sta per affrontare unpasso importante: dalle elementari alle medie, incerto ancora su quale privilegiare tra le sue mille passioni.
    Dal canto mio, io stessa ho cambiato completamente la mia (nessun rimpianto, nessun rimorso) e mi godo il lusso di essere diventata una madre "quasi" normale, proprio come invocavo qualche anno fa.
    Io spero che questo mio racconto possa essere di aiuto, di conforto, di ispirazione - se vogliamo - per non pensare mai di essere stati sconfitti dalla vita.
    E' una storia a lieto fine, la mia. Il mio augurio è, quindi, che voi un giorno possiate dire "proprio come... accadde a Piacenza".

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