giovedì 3 novembre 2016

Accadde a Gela - E' l'Italia, bellezza, e tu non puoi farci niente

Le cooperative sociali in Italia vivono con i finanziamenti pubblici perché sono quella mano santa che alla pubblica amministrazione permette di dare sottocosto i servizi che vuole erogare senza doversi porre scrupoli morali o sindacali. L’Italia è anche questa cosa qua. Ricordiamocelo, perché questo è uno degli aspetti che alimenta certe iniquità tipiche dei rapporti di lavoro della cooperazione sociale (rispetto, ad esempio, agli omologhi colleghi dipendenti pubblici) o certe facilitazioni che opportunamente utilizzate trasformano la fiscalità di una cooperativa sociale in uno strumento di concorrenza sleale verso il mercato normale.
Ma l’Italia è anche quel Paese dove per lo più la norma del legislatore insegue la realtà già consolidata, come avvenne ad esempio venti anni fa con l’istituzione proprio delle cooperative sociali. Ed è quindi quel Paese in cui se vuoi che una cosa divenga un diritto riconosciuto per legge, devi prima realizzarla con l’impegno costante di convincere che non stai operando contro la legge né contro la morale.
Ma realizzare un progetto in Italia è impresa ardua ben al di là delle difficoltà burocratiche che si possono incontrare: i particolarismi, gli egoismi, gli assetti un po’ mafiosi in cui si consolidano le relazioni umane all’interno degli enti pubblici, le modalità in cui quelli privati cercano di accreditarsi a discapito degli altri.
Piccoli Don Rodrigo, piccoli Don Abbondio, pochi Innominati, nessuna conversione.
I soldi, ovvio, sono un problema: Adventura onlus è stata in attesa per un anno di una risposta dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, per poter realizzare un ambulatorio per il trattamento dei DGS e dei DSA. Soldi che ci erano già stati assegnati e che noi abbiamo semplicemente richiesto di spostare su un altro capitolo. Dopo tanta attesa, è finalmente arrivata la risposta che ce li nega.
Ma l’impossibilità di avviare un progetto in Italia è anche radicata nella ricerca e nell’università, perché chi genera la teoria spesso non genera la pratica, mentre si impegna a difendere la propria scuola di pensiero per costruire una rete ed una lobby sugli obiettivi validi per la collettività.
Ma l’Italia è infine un paese d’arsenico e vecchi merletti, dei caffè di Sindona, degli immobilismi che questa crisi certo non aiuta a rimuovere.
Attraverso questi anni di tentativi, lo spaccato sociale e culturale del nostro Paese si è disegnato sempre più precisamente, fino a togliermi – vi confesso – la volontà di procedere.
Pietro fu diagnosticato, a memoria mia, in quattro sessioni. Era sempre presente a queste una neuropsichiatra, dalla quale mi mandò la mia psicologa. Questa neuropsichiatra è in pensione, ma ha lavorato all’AUSL come responsabile per la neuropsichiatria infantile e, una volta chiusa la parentesi pubblica, riviste le proprie posizioni sul comportamentismo, ha aperto, con alcune psicologhe, un centro riabilitativo che si chiama Kairòs ed opera a Piacenza secondo il metodo ABA. Il centro fa riferimento direttamente allo Iescum (Istituto Europeo per lo Studio del Comportamento Umano). 
Dopo un po’ di tempo, un annetto abbondante direi, soprii, per puro caso, che nel centro i bambini (tra cui mio figlio) erano assicurati per le sole responsabilità civili (tipo: gli cade addosso uno scaffale all’interno del centro stesso), ma non per i danni eventualmente provocati dagli operatori o, più probabilmente, dagli altri bambini. Consideriamo che i bambini che soffrono di DGS, sovente, hanno atteggiamenti aggressivi diretti verso se stessi e verso il prossimo.
Cercarono di spiegarmi che questo era per non gravare eccessivamente sui costi orari delle terapie, probabilmente dando per scontato che io non sapessi quanto costa assicurare un bambino. Invece lo sapevo, perché lavoravo in una cooperativa sociale, e per questo a maggior ragione mi sentivo presa in giro.
Naturalmente, questo minò seriamente il rapporto con Kairòs e cambiò una serie di assetti relazionali dai quali discese una buona parte dello stop locale al progetto.
Ad esempio, il direttore della neuropsichiatria di Piacenza si rifiutò per anni di incontrarmi, mentre manteneva relazioni costanti con la neuropsichiatra del centro, che aveva avuto come collaboratrice all’epoca in cui lei serviva il pubblico. Ho dovuto richiedere l’intervento delle più profonde mani nella gestione dell’AUSL per riuscire ad incontrarlo e ricordo ancora oggi la telefonata che ne ricevetti come feedback trasversale (non mi disse tizio ha detto che tu, caio ha detto che voi, perché non si sa mai se e chi ha eventualmente detto cosa) da colui che in prima persona si era adoperato per facilitarmi il nutrito incontro; mi chiese così, senza tanti giri di parole: “ma è vero che hai offerto delle "cose" per lavorare di più?”. Per fortuna avevo un tale numero di testimoni a quell’incontro (perché ho capito il mondo come va e non mi fido più di nessuno) che suggerii al mio facilitatore di dissuadere i suoi referenti interni dal procedere su questo genere di argomenti, o sarebbero velocemente stati querelati.
Questo è un fatto interessante, così tipicamente autoctono, perché “la calunnia è un venticello”… Serve bene l’episodio per comprendere quali sono in Italia le modalità con cui opera il potere di Don Rodrigo, quando non basta il primo stadio della strategia di neutralizzazione del nemico.
Ma non fu solo l’AUSL a lottare per il suo predominio nel campo. Ogni professore universitario che abbiamo incontrato era molto molto più interessato a sponsorizzare se stesso che a far parte di una rete di intelligenze al servizio di un obiettivo più alto: insomma, ciascuno vuole il suo mausoleo. Sono pochi disposti a cooperare veramente, come avrebbe dovuto essere nel comitato scientifico che intendevamo costituire: tanti progetti, ciascuno assegnato ad un primus inter pares, cosa che li avrebbe costretti a confrontarsi con le altre eminenti professionalità, oscurando la propria luce personale.

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