martedì 11 ottobre 2016

Accadde a Gela - Mal Comune

Per affrontare queste prove serve forza, temperanza e – lo dico ancora una volta – una buona dose di spregiudicatezza. Ovviamente, serve anche fortuna. Non è facile stare a guardare tuo figlio che si butta per terra, che sbatte la testa contro gli spigoli mentre tu, per lui, non puoi far altro che cercare di evitare che si faccia male; e quando lui piange e si dispera, tu non lo devi guardare, niente contatto oculare, niente parole per calmarlo, niente di niente. Questo, ovunque capiti la crisi, anche in mezzo alla strada, nella piazza principale il giorno del mercato.
E fu proprio nella piazza dei mercanti, una mattina, che vidi una vecchietta dai lunghi capelli bianchi domati in una retina nera. Lei stessa era inviluppata in un cappotto ed in un foulard di pizzo tutti neri. Pietro – sdraiato per terra – esibiva il meglio delle sue rappresentazioni. Lei mi guardò e, colma di disprezzo, a mezza voce disse: “non sono proprio più capaci di educare i genitori d’oggi”.
Quel giorno tornavo con mio figlio da teatro, dov’eravamo andati con la scuola. Avevo deciso che doveva provarci anche lui, ma la sua terapista/educatrice di sostegno non c’era: dovevo esserci io. Per fortuna, l’altra terapista di Pietro era educatrice di sostegno di un altro bimbo.
Il ritmo degli avvenimenti era stato incalzante: la crisi nella hall del teatro; il progressivo avvicinamento alla tenda; la maschera interdetta che guarda me e mio figlio; io che mi giustifico e le dico “è autistico, sa…”. E finalmente, la mia vittoria: gli ultimi cinque minuti di spettacolo visti da dentro la sala.
Io, faticosamente, con gli occhi gonfi tenevo a freno, in via Calzolai, la crisi di Pietro e il desiderio di uccidere la vecchina.
Oggi lui è quasi un bambino qualunque. Ma lo Stato e le sue declinazioni minori o le aziende pubbliche di sua emanazione non hanno meriti in questo.
Il settore formazione del Comune di Piacenza, ricevuta la lettera di richiesta del sostegno educativo a firma dell’AUSL,  ha iniziato ad attribuire un contributo alla scuola materna che Pietro frequentava, perché mio figlio avesse 12 ore alla settimana un educatore di sostegno. Per intenderci e per non fare confusioni, 12 ore alla settimana sono meno di un terzo del tempo che mio figlio passava a scuola. Per queste 12 ore a settimana il comune riconosceva circa 560 €/mese, che divisi per le 4.1 settimane mediamente presenti nel mese standard e poi per le 12 ore erogate, significava sostanzialmente 11,40 €/ora. Una cooperativa un educatore non riesce a pagarlo (come costo del lavoro) meno di 14 €/ora, a meno che non sia un apprendista. Ma voi comprenderete che non si possono avere solo apprendisti.
All’epoca il Comune aveva un dirigente competente nel settore formazione per l’integrazione scolastica dei minori disabili veramente fenomenale; ovviamente, a luglio 2012 andò in pensione. Ne abbiamo pianto la partenza, per il terrore che venissero inglobate le sue funzioni da persone con troppo poca competenza e troppa arroganza; e così accadde.
L’”estate per tutti” - comunque - è un progetto comunale, nel quale i cosiddetti disagi sociali ed i portatori di handicap (se in carico ai servizi sociali e, come direbbe Mina, sottolineo se) tra i 4 e gli 11 anni possono accedere a tre settimane di centro estivo gratuito, presso gli enti convenzionati con il Comune di Piacenza. Per rimborsare gli enti convenzionati, il Comune fa riferimento ad una tabella dove, per una settimana di ospitalità dal mattino alla sera senza pernottamento e col pasto, venivano nel 2013 riconosciuti, per fare esempi numerici:
- Circa 240 €/settimana per portatori di handicap con necessità di sostegno 1:1;
- Circa 43 €/settimana per i bambini con disagio sociale.
Una settimana di pasti per un bambino alla cooperativa costa circa 25-30 €. Non aggiungo altro. C’è un problema di welfare.
Quando il primo anno cercai di informarmi sul servizio dell’estate per tutti per mio figlio, i servizi sociali (del comune di Piacenza, ovviamente) mi risposero che il bambino non era in alcun modo in carico a loro e che non sapevano nulla della sua esistenza. Credo peraltro di avervelo già detto. Fino all’ultimo hanno perorato questa posizione. Io – caparbiamente – mi sono ostinata a ritenere che il diritto di mio figlio a partecipare all’estate per tutti non potesse dipendere dal fatto che ancora una volta mi dovessi presentare nell’ennesimo ufficio dello stesso ente a cui da 3 anni raccontavo che ho un figlio invalido. E lo l’ho fatto perché mio figlio è stato certificato da una commissione nella quale sedeva un educatore sociale e perché Pietro da anni riceve il famoso contributo per il sostegno dal settore formazione. 
Lo facevo – certo - perché potevo permettermelo, anche se in ultimo a fatica. L’ho fatto perché voglio che la mia esperienza porti un frutto di integrazione che un sindaco o un assessore comunale ai servizi sociali devono pretendere, lavorando congiuntamente con i livelli politici provinciali e regionali corrispondenti. L’ho fatto perché desidero che noi cittadini abbiamo rappresentanti istituzionali impegnati a programmare interventi e servizi nell’interesse collettivo, tornando a dare onore al concetto di democrazia rappresentativa e di accettazione di un incarico politico o di una delega.

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